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Tutto quello che c’è da sapere sul lattosio

Il lattosio è un disaccaride, cioè uno zucchero complesso composto da due zuccheri semplici: glucosio e galattosio e viene prodotto dalla ghiandola mammaria del mammifero. Si sente spesso parlare del lattosio in moltissime occasioni, a partire dalle intolleranze e dai problemi di digestione che può scatenare in alcuni soggetti particolarmente sensibili. Proprio a questo proposito, si sente molto spesso parlare anche di produzioni di alimenti delattosati, con lo scopo di fornire dei prodotti senza questo specifico zucchero.

Il lattosio viene utilizzato nell’industria alimentare sotto forma di latte in polvere e inserito in molteplici alimenti, quali il latte e i latticini (mozzarella, yogurt, formaggi, gelati, burro e panna), ma anche nel pane, nei salumi, dolci, carni e alimenti precotti, compreso risotti, minestre e purè di patate; esso conferisce ai cibi un particolare gusto leggermente dolce, tendenzialmente migliorandone il sapore.

Il lattosio viene digerito da alcuni specifici enzimi chiamati lattasi e beta galattosidasi che lo scindono nei due zuccheri principali: il glucosio e galattosio. Questo enzima è presente nel bambino sin dalla 23a settimana di gestazione e completa la sua massima concentrazione al termine della gravidanza. Tuttavia, come accenneremo anche più avanti, la produzione dell’enzima lattasi tende a diminuire durante gli anni in gran parte dei soggetti e questo può portare a sviluppare dei problemi nella digestione del lattosio e nell’equilibrio del metabolismo corporeo.

INTOLLERANZA AL LATTOSIO

L’enzima lattasi, come abbiamo accennato poco fa, tende a diminuire con il corso degli anni fino a scomparire quasi del tutto negli adulti. Per tale motivo, alcuni soggetti si possono definire “intolleranti al lattosio”.

Ma cos’è l’intolleranza?

I soggetti che possiedono una piccolissima percentuale di questo enzima, hanno difficoltà piuttosto evidenti a digerire il lattosio perché esso non viene assorbito dal tratto gastro intestinale; tale intolleranza si manifesta con specifici sintomi piuttosto fastidiosi, come senso di gonfiore, dolori addominali, nausea, mal di testa, diarrea e meteorismo, tendenza al sovrappeso e all’iperglicemia. Spesso le persone intolleranti al lattosio tendono a rimuovere i derivati del latte e gran parte dei prodotti caseari dalla propria dieta, come la ricotta, il burro e i formaggi freschi, pensando che sia una misura sufficiente, rischiando però di incorrere in una carenza nutrizionale, che dovrebbe essere sempre supervisionata da uno specialista.

L’intolleranza al lattosio è piuttosto frequente nell’uomo adulto al contrario del bambino che nasce predisposto a digerire l’enzima. In questo specifico caso, zucchero e latte rappresentano il primo alimento per consentire lo sviluppo dei neonati, già dallo svezzamento. Questa dinamica non è prerogativa dell’essere umano, ma si verifica in tutti gli animali mammiferi.

Tuttavia, in Europa, circa il 70% dei soggetti soffre di intolleranza, una bella cifra visto che il latte e il lattosio sono contenuti in un gran numero di alimenti che consumiamo quotidianamente e nella maggior parte delle medicine.

TIPOLOGIE DI INTOLLERANZA AL LATTOSIO

Esistono 2 tipologie di intolleranza: quella primaria e quella secondaria.

La primaria solitamente è congenita (ipolattasia) o acquisita, anche se molto rara ed è genetica. In questo caso di deficit enzimatico, proprio per il fattore di predisposizione genetico, è probabile che i sintomi di un’intolleranza al lattosio possano verificarsi fin dalla nascita, proprio durante le prima fasi di allattamento. Alla luce dei valori nutrizionali contenuti nel latte materno, e di quanto questi siano importanti per il corretto sviluppo del bambino nelle sue prime fasi della vita, è fondamentale agire immediatamente per evitare di incorrere in delle carenze alimentari.

La secondaria, invece è causata da alcune patologie (gastroenterite, morbo di Crohn, celiachia, deficit immunologici, radiazioni, sindrome del colon irritabile e il Rotavirus che causa un’enterite acuta al lattante e al bambino in età prescolare) che provocano una lesione all’intestino tenue, con la conseguente distruzione dell’enzima. Il lattosio non digerito si deposita nel colon, dove viene fermentato da alcuni batteri, rilasciando gas (idrogeno) principale causa di distensione addominale e gonfiore, nonché di un indebolimento della flora batterica naturale.

In questo caso, il disturbo responsabile delle cause della sintomatologia può diventare molto invasivo e debilitante. Non a caso, è importante agire velocemente rivolgendosi al proprio medico di fiducia, in modo da individuare il disturbo e curarlo nel migliore dei modi. Sconsigliato è invece il “fai da te”: la nutrizione deve continuare a essere perfettamente bilanciata ed equilibrata in tutti i suoi elementi e sostanze, per garantire una ripresa rapida ed efficace, senza essere carente in nessun aspetto.

COME GESTIRE L'INTOLLERANZA AL LATTOSIO?

Per combatterla bisogna innanzitutto conoscere, informarsi soprattutto sugli ingredienti che compongono gli alimenti che consumiamo. Come anticipato nei paragrafi precedenti, il lattosio non è contenuto solo nel latte e nei suoi derivati, come la panna, ma anche in cibo che solitamente non ci aspettiamo e che tutti abbiamo nella propria casa, come gli insaccati e i salumi, nel pane confezionato e nelle minestre di origine vegetale, ma anche in prodotti in scatola.

Solitamente, nei cibi acquistati o nei medicinali viene inserita un’etichetta con la composizione dei singoli ingredienti ed eccipienti; se ne sono sprovvisti, allora è bene informarsi con chi è di competenza (panettieri, pasticceri, farmacisti ecc.).

Chi soffre di intolleranza al lattosio tende a ridurre, se non ad eliminare drasticamente, tutti i cibi contenenti lattosio, fra i quali il latte, riducendo così il necessario apporto di calcio utile alla salute umana, soprattutto nella prevenzione dell’osteoporosi (essi contengono circa 1.300 mg di calcio in 100 gr di formaggio, la quantità giornaliera necessaria per il necessario apporto di calcio). Il rischio di incorrere in delle carenze diventa ancora più alto nel caso in cui ci si trovi in una condizione di fragilità, come nei soggetti più anziani, e quindi più propensi a sviluppare patologie e disturbi alimentari, oppure in condizioni particolari come nella donna in gravidanza. I componenti del latte infatti possono essere utilissimi se non fondamentali in queste e molte altre situazioni.

Spesso la dieta varia solo per un breve periodo, che può arrivare ad alcuni mesi, in base al livello dell’intolleranza. Successivamente, il lattosio viene reinserito gradualmente, in preparazione al ritorno alla normalità. Alle volte, viene associato alla dieta un supporto con degli integratori alimentari di lattasi, che possono aiutare nel processo.

ALIMENTI SENZA LATTOSIO

In commercio esistono vari tipi di latte e marche di latticini a bassissimo contenuto di lattosio (meno dello 0,1%, quindi facilmente digeribile).

Inoltre, non è necessario evitare il consumo di formaggi stagionati: durante il processo di stagionatura perdono un’altissima percentuale di lattosio divenendo così “già digerito”, perché scomposto in glucosio e galattosio. Potete quindi consumare senza particolari problemi formaggi come grana padano, pecorino e parmigiano stagionati, anche a guarnizione di pasta e piatti di riso. Al contrario però, non è ammesso il latte di pecora, dato che contiene circa la stessa quantità di lattosio del latte vaccino.

Anche lo yogurt subisce un simile trattamento, poiché i batteri che vengono inseriti nel latte per trasformarlo in yogurt, consumano il lattosio durante il processo di trasformazione. Lo yogurt, inoltre, è stato considerato un alimento utile a chi soffre di intolleranza al lattosio; infatti, lo Streptococcus Termophilius produce la beta galattosidasi che favorisce il transito nel tubo digerente.

SINTOMI DELL'INTOLLERANZA AL LATTOSIO

Anche se per avere la certezza di essere intolleranti al lattosio è meglio rivolgersi al medico e fare uno specifico test diagnostico, ci sono alcuni sintomi molto evidenti e purtroppo fastidiosi che possono fare da campanello d’allarme, per farci capire che possiamo avere un problema con il latte e i suoi derivati.

Tra quelli più fastidiosi ma meno gravi, ci sono i vari disturbi gastrointestinali, che possono debilitare l’individuo a diversi livelli: dal semplice gonfiore addominale alla flatulenza, dai crampi addominali alla diarrea, avere problemi nella digestione del latte può diventare un vero problema e tale sintomatologia in genere si manifesta con più frequenza nella popolazione di età adulta. Solitamente, i primi sintomi si manifestano poco dopo aver ingerito il lattosio, e quindi al momento in cui il corpo tenta di scomporlo e di digerirlo. Questo può portare, oltre ai sintomi descritti sopra, anche a un’eccessiva produzione di acidi e quindi a una sensazione di nausea nei soggetti più sensibili.

Diverso è invece il caso dell’allergia al latte, che può presentarsi invece nei bambini nel primo anno d’età e poi viene superata in modo naturale. Al contrario l’intolleranza al lattosio è molto difficile che si presenti prima dei 3 anni. Essendo una reazione del sistema immunitario dell’organismo alle proteine del latte, anche i sintomi sono lievemente diversi, e in genere comprendono la classica orticaria, che si manifesta con eruzioni cutanee, pancia gonfia e crampi allo stomaco.

Nel caso quindi notiate tali sintomi nel vostro bambino, conviene affidarsi ai consigli del vostro pediatra, per valutare la strategia per fargli superare tale disturbo in modo semplice e indolore, e per integrare in maniera efficace la sua alimentazione, senza dover rinunciare ai benefici apportati al corpo dal consumo quotidiano del latte. Ricordiamo infatti che il latte è una bevanda ricca di tantissimi elementi, tra cui proteine, carboidrati, vitamine e micronutrienti importantissimi, che contribuiscono in maniera fondamentale allo sviluppo del neonato.

COME DIAGNOSTICARE E CONFERMARE I SINTOMI DELL'INTOLLERANZA AL LATTOSIO?

È molto importante anche ricordare che i sintomi dell’intolleranza al lattosio, in molteplici casi, possono essere molto simili a quelli dell’intolleranza al glutine. Proprio per questo motivo, soltanto un medico capace di eseguire test specifici ha la possibilità di verificare la presenza di un’intolleranza.

Tali sintomi, già in precedenza avvertiti dal paziente, possono essere confermati tramite un test diagnostico: si tratta di un metodo per nulla invasivo e non richiede prelievo di sangue o di urine. Basta somministrare al soggetto intollerante, circa 50 g di lattosio e aumentare le dosi fino al primo comparire dei sintomi. Questo test però non è molto attendibile visto che i sintomi sono molto soggettivi.

Una valida alternativa a questo metodo è il Breath test o test del respiro: esso si basa sull’aumento di idrogeno nell’aria respirata dal soggetto intollerante per una durata di 4 ore successive all’assunzione di una parte di lattosio. Il lattosio, nei soggetti intolleranti, non viene digerito e prosegue il transito intestinale senza essere scisso; quando si deposita nel colon, viene fermentato nella flora batterica e microbica locale producendo gas (idrogeno) e la conseguente sintomatologia dell’intolleranza al lattosio.

I risultati di questo test smentiscono la presenza di intolleranza nel 45% dei soggetti che invece soffrono di sindrome del colon irritabile; infatti i sintomi di quest’ultimo sono molto similari a quelli dell’intolleranza al lattosio.

Un altro metodo utilizzato è quello del pH fecale con il quale viene osservato, tramite un apposito indicatore acido-base, il fenomeno della variazione di colore causata dalla presenza di acido lattico ed acidi grassi nelle feci.

Purtroppo però, tale test non è molto attendibile, contrariamente a quello eseguito tramite carico di lattosio; dopo aver assunto il lattosio, nelle due ore successive viene controllato l’aumento della glicemia; se il lattosio viene scisso e assorbito completamente, la glicemia aumenta oltre i 20 mg/100 ml, mentre in caso di intolleranza questo aumento non si verifica. Infine la biopsia enterica con conseguente esame istologico di piccoli frammenti di mucosa digiunale per evidenziare una diminuzione della densità microvillare.

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