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Vitamina D

VITAMINA D: quantità adeguata, insufficienza, carenza

Della vitamina D se ne parla spesso, ma non sempre è chiaro di cosa si tratti davvero. Non è una vitamina come tutte le altre, mettiamola così. Anzi, per certi versi si comporta più come un ormone. Ed è proprio questa sua particolarità a renderla così interessante. La cosa più curiosa? Il nostro corpo riesce a produrla da solo. Basta un po’ di sole sulla pelle, e via, si attiva un meccanismo che porta alla formazione della vitamina D.  

Si tratta di una vitamina liposolubile, cioè solubile nei grassi, che viene assorbita meglio in presenza di alimenti contenenti lipidi e può essere accumulata nel tessuto adiposo. 

In realtà, le forme iniziali sono due: la D3 (nota anche come colecalciferolo), che arriva da molecole di origine animale, e la D2, di origine vegetale. Ma la vera vitamina D, quella attiva, nasce solo dopo che queste due vengono elaborate dal nostro organismo, in due passaggi. Insomma, un processo a più fasi, non proprio immediato. La D3, tra l’altro, si trova anche in alcuni alimenti. Ma non basta a coprire il fabbisogno giornaliero, ecco perché serve comunque un po’ di esposizione al sole. E anche qui, non è che esista una regola universale, dipende da dove si vive, da quanto si sta all’aria aperta, dal colore della pelle e da tante altri fattori. 

Quando si parla di controllare i livelli di vitamina D, ci si riferisce in genere alla 25-idrossivitamina D (che in gergo tecnico si chiama anche calcidiolo). È una forma stabile, resta in circolo per una quindicina di giorni; diversa dalla forma attiva vera e propria, il calcitriolo, che invece ha una vita brevissima, appena 15 ore, e per questo non è utile per capire se esiste una carenza. 

E a proposito di carenze: sapevate che non c’è ancora un accordo internazionale chiaro su quali siano i valori adeguati di vitamina D? Alcuni parlano di soglie minime, altri le alzano un po’. In sostanza, si sa che è importante, ma non sempre si è d’accordo su quando intervenire davvero in caso di insufficienza. 

A cosa serve la vitamina D?

La funzione più conosciuta della vitamina D è quella che riguarda la salute delle ossa. È infatti essenziale per favorire l’assorbimento del calcio e mantenere buoni livelli sia di questo minerale che di fosforo, entrambi fondamentali per la robustezza dello scheletro. Una carenza prolungata, infatti, può compromettere questo equilibrio e aumentare il rischio di osteoporosi, soprattutto con l’avanzare dell’età. 

Ma non è tutto così semplice: per fare questo, la vitamina D interviene in modo coordinato su almeno tre organi, intestino tenue, reni e tessuto osseo, attraverso meccanismi piuttosto sofisticati. Negli ultimi anni, però, si è scoperto che il suo ruolo va ben oltre. Studi recenti hanno mostrato che esiste un’interazione positiva tra vitamina D e microbiota intestinale. In pratica: un microbiota in equilibrio aiuta a migliorare l’assorbimento del calcio, mentre livelli adeguati di vitamina D sembrano limitare la produzione di alcune molecole infiammatorie da parte di specifici batteri intestinali. Un rapporto che, se ben mantenuto, può tradursi in benefici importanti per tutto l’organismo. È un equilibrio delicato ma fondamentale. 

Anche i muscoli risentono della presenza (o dell’assenza) di questa vitamina. La letteratura scientifica conferma che la vitamina D è coinvolta in diversi aspetti della funzione muscolare. Quando manca, possono comparire disturbi piuttosto evidenti: calo del tono, difficoltà nei movimenti quotidiani (come alzarsi da una sedia o sollevare le braccia), perdita di equilibrio e, di conseguenza, maggiore rischio di cadute, soprattutto con l’avanzare dell’età. 

La vitamina D ha poi un impatto diretto sul sistema immunitario. Aiuta a regolare la risposta infiammatoria e contribuisce a mantenerla “in equilibrio”, favorendo le risposte anti-infiammatorie rispetto a quelle pro-infiammatorie. Anche l’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha riconosciuto ufficialmente che la vitamina D “contribuisce al normale funzionamento del sistema immunitario e riduce la risposta infiammatoria”. 

Un altro aspetto interessante riguarda la sua azione contro le infezioni respiratorie. Livelli bassi della forma attiva della vitamina D sono stati associati a una maggiore vulnerabilità a raffreddori, bronchiti e simili, con sintomi spesso più intensi e persistenti. Alcuni studi indicano che questa vitamina stimola la produzione di peptidi antimicrobici, molecole che aiutano a combattere virus e batteri. E non solo: anche i metaboliti, cioè i prodotti di degradazione della vitamina D, sembrano avere effetti protettivi simili. 

Nel 2017, un’importante revisione scientifica ha mostrato che l’integrazione di vitamina D può ridurre il rischio di infezioni respiratorie acute. Più recentemente, si è scoperto che la vitamina D3 può essere attivata direttamente nei polmoni, il che fa pensare che un’assunzione adeguata di questa vitamina possa addirittura offrire una protezione contro forme più gravi di polmonite, come quella interstiziale. In ogni caso, se si sospetta una carenza, è sempre bene rivolgersi al medico per ottenere una diagnosi precisa, che passa attraverso esami del sangue specifici per valutare i livelli di 25-idrossivitamina D. 

Solo così sarà possibile stabilire, se necessario, il corretto farmaco o integratore da assumere, evitando il fai-da-te e garantendo un apporto sicuro ed efficace. 

Dove si trova la vitamina D?

La vitamina D, a differenza di molte altre, non si trova solo nei cibi. Anzi, la parte più consistente arriva… dal sole. Eh sì, il nostro corpo è capace di produrla da solo, a partire dalla pelle, quando ci esponiamo alla luce solare. Bastano anche 15-20 minuti al giorno con viso e braccia scoperte, ovviamente nelle ore giuste (mezzogiorno è l’ideale). Ma nei mesi freddi, o se si vive in città dove si sta spesso al chiuso, questa esposizione può non essere sufficiente. In quel caso, il tempo a disposizione per la sintesi naturale potrebbe non bastare. 

E allora? Qui entrano in gioco gli alimenti. Anche se non sono molti quelli che contengono quantità significative di vitamina D, qualcuno c’è. I più ricchi sono alcuni pesci grassi, come il salmone, lo sgombro o le sardine. La troviamo anche nel tuorlo d’uovo, nel fegato e, in quantità più ridotte, in alcuni formaggi grassi. Infine, alcuni funghi esposti alla luce solare contengono la forma vegetale della vitamina D. 

Oggi poi ci sono anche cibi fortificati, cioè arricchiti con vitamina D come latte, yogurt, bevande vegetali, cereali per la colazione… Non tutti li mangiano, ma possono essere d’aiuto, soprattutto per chi segue diete particolari o evita prodotti animali. 

In sintesi: la vitamina D si prende un po’ dal sole, un po’ dal piatto. Nessuna fonte da sola basta per tutti, perciò l’ideale è combinare le cose, fare un po’ di prevenzione con uno stile di vita equilibrato e, se necessario, parlarne con un medico per capire se può essere utile un’integrazione. 

Fabbisogno giornaliero e corretto apporto

Ma quanta vitamina D ci serve davvero? È una domanda che in molti si pongono, soprattutto nei mesi freddi, quando il sole si fa desiderare. Questa vitamina è fondamentale per l’organismo, ma capire di quanta ne abbiamo bisogno e come assumerla non è sempre così immediato. 

Secondo le linee guida italiane, i livelli ottimali di vitamina D nel sangue, per la precisione della 25-idrossivitamina D, dovrebbero essere pari o superiori a 30 ng/ml. Valori inferiori indicano un’insufficienza, mentre sotto i 20 ng/ml si parla di carenza vera e propria. Se si scende al di sotto dei 12 ng/ml, si entra nel campo della grave carenza, una condizione che non va assolutamente trascurata. 

Ma da cosa dipendono questi livelli? Le variabili in gioco sono diverse. A volte si introduce poca vitamina D con l’alimentazione, altre volte il corpo non riesce ad attivarla correttamente, magari a causa di problemi renali o di un intestino che ne ostacola l’assorbimento. Nella maggior parte dei casi però il vero problema è che non ci esponiamo abbastanza alla luce del sole. 

Non basta passeggiare dieci minuti con il viso coperto dalla sciarpa. La sintesi della vitamina D avviene a livello cutaneo, ma entrano in gioco i fattori di cui abbiamo già accennato ovvero l’orario, la stagione, il colore della pelle, l’inquinamento, persino il meteo. Le nuvole, ad esempio, possono dimezzare la quantità di raggi UVB che arrivano alla pelle, e l’ombra può ridurla anche del 60%. Un dettaglio importante? I raggi UVB non attraversano il vetro. Prendere il sole da dietro una finestra, insomma, non serve a nulla. 

Senza voler semplificare troppo, gli esperti stimano che esporsi al sole per circa 15–30 minuti, due o tre volte alla settimana, scoprendo viso, braccia e gambe (quando possibile), sia sufficiente per stimolare una produzione adeguata di vitamina D. Naturalmente, ogni persona è diversa e la protezione della pelle rimane sempre prioritaria. Non si tratta di esporsi senza filtri, ma di trovare un equilibrio consapevole tra esposizione e sicurezza. 

Chi, invece, vive in zone poco soleggiate o ha uno stile di vita che lo porta a stare spesso al chiuso, può compensare con l’alimentazione. Pesce grasso come salmone o sgombro, uova, alcuni funghi e i latticini arricchiti con vitamina D sono buone fonti alimentari. In alcuni casi, se i livelli sono particolarmente bassi, il medico può consigliare un’integrazione su misura. 

Un piccolo avvertimento: troppa vitamina D può diventare un problema. Quando i livelli ematici superano i 100 ng/ml, si entra nel territorio dell’intossicazione. Questo avviene di solito dopo un uso prolungato di integratori ad altissimo dosaggio (oltre 250 microgrammi al giorno). I segnali? Nausea, diarrea, affaticamento e possibili problemi ai reni. Per questo è bene non superare i 50 microgrammi al giorno (equivalenti a 2000 UI), a meno che non ci siano motivi clinici specifici e una supervisione medica. 

Al contrario, i primi segnali di carenza sono più silenziosi: livelli bassi di calcio e fosforo, stanchezza persistente, dolori alle ossa o muscoli deboli. Tutti campanelli d’allarme che vale la pena ascoltare. 

In sintesi? Non è necessario ossessionarsi con numeri e dosi giornaliere. Basta un po’ di consapevolezza e prendere il sole quando si può, mangiare in modo vario e, se serve, integrare sotto consiglio medico. È il modo più semplice per mantenere i livelli di vitamina D nella norma e sentirsi meglio, ogni giorno. 

In tutto questo, però, c’è un dato che non va trascurato: in molti Paesi europei l’assunzione media quotidiana resta inferiore ai 5 microgrammi, ben lontana da quella consigliata dai LARN e dall’EFSA, che fissano il fabbisogno medio a 10 microgrammi al giorno per tutte le età (equivalenti a 400 UI).  

Le eccezioni più virtuose sono i Paesi nordici, dove le abitudini alimentari, come il frequente consumo di pesce, olio di fegato di merluzzo e latte fortificato, aiutano a mantenere livelli adeguati di vitamina D. Diversa la situazione in altre aree, come il Sud Italia, dove entrano in gioco diversi ostacoli. Pelle più scura, basso consumo di alimenti ricchi di vitamina D, carente apporto di calcio e una reale esposizione solare spesso limitata, nonostante il clima favorevole, a causa di uno stile di vita prevalentemente al chiuso. 

In questi casi il miglioramento può avvenire in tre modi: aumentando il consumo di alimenti naturalmente ricchi di vitamina D, introducendo prodotti fortificati e valutando, se necessario, una supplementazione personalizzata. 

Negli Stati Uniti, ad esempio, la fortificazione dei latticini ha permesso di raggiungere una media giornaliera di circa 10 microgrammi negli adulti, con il 40-50% dell’apporto derivante proprio da alimenti arricchiti. Anche in Europa, si stanno adottando misure simili, il National Nutrition Council, ad esempio, ha raccomandato di aggiungere 1 microgrammo ogni 100 g nei prodotti lattiero-caseari e 20 microgrammi ogni 100 g nei grassi spalmabili. 

Piccoli interventi, ma con un grande impatto a livello collettivo. 

Carenza di vitamina D

La carenza di vitamina D è una condizione molto comune, ma non colpisce ovunque con la stessa intensità. I livelli nella popolazione variano in base a numerosi fattori come esposizione al sole, abitudini alimentari, etnia, stile di vita e presenza di politiche nutrizionali come la fortificazione degli alimenti. Ecco una panoramica dei dati disponibili per Europa e Medio Oriente. 

Nord Europa 

Nonostante le poche ore di luce durante l’anno, i livelli di vitamina D in questi Paesi sono generalmente buoni. 

  • Meno del 20% della popolazione presenta carenza. 
  • L’adeguatezza è attribuita all’uso diffuso di olio di fegato di merluzzo, integratori e alimenti fortificati. 
  • In Finlandia, queste strategie hanno portato a un netto miglioramento negli ultimi dieci anni. 

Europa Occidentale 

La prevalenza di carenza di vitamina D è decisamente elevata, con dati preoccupanti soprattutto nel Regno Unito. 

  • Carenza grave (<12 ng/ml): tra il 4,6% e il 30,7%; 
  • Carenza moderata (<20 ng/ml): tra il 27,2% e il 61,4%. 

Regno Unito 

  • 30,7% della popolazione con valori <12 ng/ml; 
  • 61,4% con valori <20 ng/ml. 

Gruppi più a rischio: 

  • persone di origine africana e asiatica; 
  • adolescenti; 
  • immigrati non occidentali, anche in gravidanza; 
  • anziani. 

È stato inoltre osservato un aumento dei casi di rachitismo. 

Sud Europa 

I dati standardizzati per la popolazione adulta sono ancora limitati, ma diverse ricerche mostrano livelli di vitamina D generalmente più bassi rispetto al Nord Europa. 

Studio SENECA (anziani): 

  • Spagna: 10,4 ng/ml; 
  • Portogallo: 15,6 ng/ml; 
  • Italia: 11,2 ng/ml; 
  • Grecia: 10 ng/ml; 
  • Paesi nordici (per confronto): circa 18 ng/ml. 

Studio ODIN (bambini e neonati in Grecia): 

  • Valori inferiori a 12 ng/ml nel 4,2–6,9% dei casi; 
  • Valori inferiori a 20 ng/ml nel 40,5–62,4% dei casi. 

Anche altri studi condotti nel Sud Europa confermano che le concentrazioni di vitamina D inferiori a 20 ng/ml sono molto frequenti e che la percentuale di soggetti con valori inferiori a 12 ng/ml è più elevata rispetto all’Europa settentrionale e occidentale. 

Medio Oriente 

La carenza di vitamina D è molto più diffusa rispetto all’Europa, anche in presenza di un clima favorevole all’esposizione solare. 

  • Fino all’80% della popolazione può presentare livelli insufficienti. 
  • Gruppi a rischio: bambini, adolescenti e donne in gravidanza. 

La scarsità di esposizione al sole, legata a fattori culturali, climatici e ambientali (come l’uso di abbigliamento coprente e l’elevato inquinamento), gioca un ruolo determinante.  

In sintesi, la carenza di vitamina D rappresenta una realtà diffusa in molte aree del mondo. Monitorare i livelli sierici, adottare un’alimentazione ricca di fonti di vitamina D e, se necessario, ricorrere all’integrazione, sono passi fondamentali per mantenere l’equilibrio dell’organismo e prevenire problematiche legate alla sua insufficienza. 

 

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